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Home ›Primo Maggio 2021 - Il solo futuro per l’umanità è la rivoluzione comunista
Siamo certi che l’umanità potrà risollevarsi dai molti mali che oggi l’affliggono, ma solo a patto di dare vita ad un cambiamento radicale dell’ordinamento economico e sociale planetario. Una rivoluzione globale è insomma indispensabile per affrontare realmente i pressanti problemi all’ordine del giorno: dall’oppressione della donna alla devastazione dell’ambiente, dalla guerra e la miseria diffusa alle migrazioni forzate, dall’emergenza sanitaria alla crisi educativa e formativa, solo per citare i principali. Purtroppo nessuna riforma interna alla logica capitalista potrà far fronte a questi drammi. Per quanto possa sembrare estremo, solo la rivoluzione può cambiare realmente le cose.
In tutto il mondo, le classi dominanti e i loro governi di destra, centro e sinistra (magari “estrema” come fu Syriza in Grecia), difendono sempre e solo la conservazione del sistema tentando l’impossibile: governare le sue contraddizioni, sempre più stridenti.
La rivoluzione deve essere:
Proletaria perché la forza motrice del necessario cambiamento risiede nei milioni e milioni di lavoratori e lavoratrici (stabili, precari, sottoccupati o disoccupati) che tutto creano, producono, trasformano, trasportano. È solo grazie al loro lavoro, e quindi al loro sfruttamento nel mondo intero, che il capitalismo continua a sopravvivere alle sue contraddizioni. Siamo noi i soli a poterlo realmente rovesciarlo. Ma deve prima ricominciare a circolare nella nostra classe il senso, la possibilità, la fiducia che c’è un’alternativa a questo sistema, fondato sullo sfruttamento operaio per il profitto padronale.
Comunista, perché solo il potere proletario – nella “forma politica finalmente scoperta” dei consigli – potrà fare fronte alle orrende eredità economiche, sociali, ambientali… di questo capitalismo attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione e delle risorse del pianeta. Solo allora il lavoro non sarà più sfruttamento salariato da parte della classe che controlla il prodotto del nostro lavoro quotidiano, bensì sforzo cooperativo per il benessere comune; la produzione non sarà più di merci per produrre profitto ma di beni finalizzati a soddisfare bisogni individuali e collettivi; tutti avranno una casa, cure quando necessario, istruzione, possibilità di realizzarsi in quanto esseri umani; il tutto nel pieno rispetto dell’ambiente naturale e dei suoi delicati equilibri ed ecosistemi.
In breve, il nostro obiettivo politico, il comunismo, è una società dove:
Il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti
Ognuno dà ciò che può e riceve ciò di cui ha bisogno
Il progresso tecnologico avrebbe dovuto liberare l’umanità dalla schiavitù del lavoro fisico, per disporre di maggior tempo libero, per coltivare la crescita intellettuale e spirituale. Ma il capitale produce solo ed esclusivamente per il profitto, così il progresso tecnologico, nel capitalismo, può significare solo aumento dello sfruttamento, disoccupazione, oppressione, maggiore controllo della forza lavoro e asservimento alla macchina. Questa è l’essenza del capitalismo: l’uso della tecnologia non per liberare gli esseri umani, ma per asservirli sempre di più, non per armonizzare la produzione con l’ambiente, ma per distruggere sempre più intensivamente la natura, non per migliorare la qualità della vita della popolazione mondiale, ma per dichiarare guerre militari, commerciali, finanziarie... parte dell’anarchia di un sistema che produce ciclicamente crisi economiche.
Le crisi sono ormai un dato di fatto della nostra vita. Infatti nessuno più si illude che, un domani, potrà esserci una vera ripresa per noi e per i nostri figli. Diventa sempre più evidente invece che il capitale non solo non ha più niente di meglio da offrirci, ma è pure incapace di controllare le crisi che regolarmente produce. E conosce una sola via per affrontarle: farle pagare alle classi inferiori, a partire dai lavoratori salariati, con tagli, sacrifici, precarietà e intensificazione dello sfruttamento.
Quest’ultima crisi CoViD lo sta dimostrando per l’ennesima volta e con estrema chiarezza: il capitalismo è il più grande ostacolo all’ulteriore sviluppo dell’umanità! Pertanto il problema del superamento del capitalismo deve essere collocato al centro di ogni discorso politico.
La Tendenza Comunista Internazionalista
Al fine di sviluppare le sue lotte contro l’aggressione del capitale, ossia di maturare la coscienza di essere una classe sociale antagonista al capitalismo e potenzialmente rivoluzionaria, di acquisire la fiducia nella possibilità di realizzare una società nuova, la nostra classe, la classe lavoratrice, ha bisogno di uno strumento politico e organizzativo. Questo strumento è il partito di classe. Costruire il partito di classe, o almeno i suoi primi nuclei, è il compito che tutti i rivoluzionari devono porsi oggi. Per affrontare tale compito, forti delle lezioni della storia passata del movimento rivoluzionario e di classe, inquadriamo la fase che stiamo attraversando:
La fase del capitale
Viviamo nel mezzo del più lungo e profondo periodo di stagnazione economica che il capitalismo abbia mai attraversato. Il CoViD ci ha ripiombato nell’incubo di una recessione senza fine ancora prima che la crisi del 2008 fosse superata. La situazione sarebbe stata da crollo economico verticale e conseguente scoppio di una nuova guerra mondiale, se non fossero intervenuti due fattori apparentemente separati eppure strettamente intrecciati: 1) la capacità reattiva del capitale a partire dalle sue banche centrali che hanno prontamente sostenuto l’economia con un'iniezione di liquidità senza precedenti; 2) la sostanziale passività del proletariato che, negli ultimi decenni e con poche e rare eccezioni, ha permesso ai capitalisti di concordare tra loro le differenti politiche economiche senza che il terzo incomodo – un proletariato combattivo – gli mettesse mai il bastone tra le ruote, facendoli cadere a terra.
Il capitalismo, i grandi capitalisti, quelli che dall’inizio della pandemia hanno visto lievitare le loro già cospicue fortune, nei decenni hanno affinato le loro capacità di gestire le crisi, hanno fatto tesoro dell’esperienza (quello che dovremmo fare anche noi per la nostra classe). All’esplodere della crisi CoViD, le banche centrali sono prontamente intervenute con la più colossale iniezione di credito monetario alle banche e alle grandi società per azioni che la storia economica ricordi: nel novembre del 2020 l’FMI dichiara che la pompa finanziaria messa a disposizione delle banche centrali è già di 19,5 trilioni di dollari, ossia quasi un quinto del PIL mondiale, o quasi l’equivalente del PIL annuale USA!
Questa immensa massa di denaro sta venendo erogata a tassi di interesse prossimi allo zero, quando non addirittura negativi, il che ha letteralmente drogato la compravendita di titoli della finanza globale (azioni, obbligazioni, derivati, fondi…), al punto che nonostante la pesantissima crisi economica, i principali Mercati Finanziari (a partire da Wall Street) hanno ringraziato le banche centrali e chiuso il 2020 con rialzi record! Champagne e caviale sui corpi dei milioni che perdevano il lavoro e/o si ammalavano di CoViD: il capitalismo cammina sui morti.
Al di là del grottesco, resta il fatto che solo una minima parte di questo enorme credito sta tornando alla produzione per sostenerla. Perché? Perché l’economia mondiale è piagata da saggi del profitto terribilmente bassi. Lo sviluppo dei mezzi di produzione, l’incremento della loro produttività, sono stati usati per sfruttare i lavoratori fino al punto in cui siamo oggi: che vengono sempre più buttati in mezzo alla strada perché l’investimento che si richiederebbe per impiegarli è troppo alto rispetto all’ancora troppo basso livello di sfruttamento.
Specie quando l’economia non tira – come nei lockdown Covid - e la speculazione finanziaria offre guadagni molto più facili, almeno nel breve periodo. Così i capitali che dovevano sostenere l’economia “reale” rimangono nella sfera finanziaria e la bolla speculativa cresce di pari passo con il debito. L’iniezione di credito sta solo creando le premesse per le prossime, ancora più devastanti, crisi finanziarie.
Crisi capitalista e concorrenza tra imperialismi vanno per mano e i conflitti sanguinosi che generano attraversano il mondo intero, dai confini dell’ex-URSS all’Africa nera, alla nuova Via della Seta, dal Medio Oriente al mar Cinese Meridionale… Il fuoco delle guerre per procura non si è mai spento ma infiamma in nuove aree del pianeta ad ogni ora. Indicibili orrori sono commessi quotidianamente in Siria, Libia, Yemen, Tigray e in molti altri luoghi lontani dagli occhi del circo mediatico mondiale. La maggior parte di queste sono guerre per procura, finanziate e armate dalle potenze maggiori. Gli USA rimangono la superpotenza dominante ma affrontano sfide nuove e pericolose, la guerra commerciale e la corsa agli armamenti con la Cina sono già partite. La guerra imperialista generalizzata è l’ultima risorsa per un capitalismo decadente in crisi.
I primi segnali di questa crisi strutturale – 50 anni fa - costrinsero gli Usa a modificare gli accordi di Bretton Woods -15 agosto 1971 - e aprirono la strada all'aumento del debito, alla produzione di capitale fittizio e alla speculazione che osserviamo oggi. La massa del debito globale, pubblico e privato, ha continuato a crescere, accelerando nelle fasi di crisi, ma senza mai essere completamente riassorbita nelle fasi di ripresa. La massa del capitale finanziario circolante è oggi di oltre dieci volte superiore al valore reale delle merci che dovrebbe rappresentare. Il saggio del profitto è caduto così in basso da rendere maggiormente attraente la speculazione rispetto alla produzione. L’unico soggetto che sorregga tutto questo ciclo infernale sulle sue spalle è il proletariato internazionale, con il suo sfruttamento e – per fortuna delle classi dominanti – con la sua passività di lotta e politica.
La fase della classe
Sono decenni che la nostra classe sta sulla difensiva, perdendo gradualmente posizione in un modo o in un altro. Nei vecchi centri del capitalismo le grandi concentrazioni produttive sono state smembrate e delocalizzate in altre aree del pianeta, dove la forza lavoro costa meno. Nella metropoli il proletariato è stato disperso, mentre nella periferia si concentra in grandi cittadelle della produzione, nelle quali però manca di esperienza e tradizione di lotta politica.
Nel 2020, mentre i 2.200 miliardari del mondo vedevano aumentare del 27,5% le loro fortune, almeno 400 milioni di lavoratori perdevano il proprio posto di lavoro e oltre 130 milioni di persone venivano scaraventate, all’improvviso, nell’incubo della povertà permanente. Per la fine del 2022 l’FMI ha previsto una perdita salariale media di almeno il 10% per il lavoratori “d’occidente”. Ancora peggio nel resto del pianeta dove 2 miliardi di popolazione mondiale vive silenziata nella “economia informale”. Il World Food Program prevede che “tre dozzine di paesi” sono al limite della carestia.
La situazione economica e sociale, d’altra parte, in molti paesi è sostenuta solo temporaneamente dagli aiuti pubblici e da misure come il blocco dei licenziamenti. In ogni caso il “licenziare per riassumere” (a condizioni più precarie) viene già utilizzato per tagliare i salari, mentre sono migliaia le aziende che attendono unicamente di aver mano libera per licenziare gli altri. L’Indonesia e altri paesi periferici stanno già varando una legislazione del lavoro “più flessibile” per favorire i futuri investimenti. Nel breve periodo la ripresa dell’economia capitalista ha una sola strada da battere: contenere il costo del lavoro. Prevedibilmente, nei prossimi anni vedremo, se non un crollo, sicuramente un “non recupero” dell’occupazione perduta; qualsiasi “ripresa” sarà insomma lunga e pesante e graverà solo sulle spalle dei lavoratori.
A pagare maggiormente sono e saranno i settori più svantaggiati della classe lavoratrice: le donne che sono spesso le prime ad essere licenziate e che subiscono ovunque nel mondo umilianti condizioni di svantaggio e minori salari e garanzie, e gli immigrati che sono il settore della classe più povero e ricattabile. Allo stesso tempo, è dalla loro iniziativa e difesa che potranno partire nuovi episodi della lotta di classe, alla quale si potranno unire altri lavoratori.
Una riflessione particolare meritano i giovani, i più esposti alla dittatura feroce della precarietà, che fanno sempre più fatica a trovare lavoro, che sono sempre più disorientati e isolati. Un’intera generazione sta crescendo in balia di questo incubo chiamato capitalismo, che alimenta disturbi psicologici e senso di rassegnazione. Anche per queste nuove generazioni dobbiamo combattere, per dare loro una prospettiva di cambiamento per la quale valga veramente la pena impegnarsi.
D’altra parte il sistema globale, invece di investire in strutture, trasporti, condizioni di sicurezza, ha preferito lasciare sostanzialmente immutate le cause che hanno prodotto e favorito la propagazione del virus. Hanno puntato tutto sulle chiusure delle attività meno profittevoli e sul business dei vaccini. Oltre alla strage nei settori più “fragili” della popolazione (a cominciare dalle classi inferiori, dal proletariato), i danni psicologici a livello sociale non si stanno facendo attendere.
Prospettive
Sebbene oggi il proletariato appaia sconfitto, isolato e disperso - e questo è un grosso problema per i rivoluzionari – vi sono alcuni segnali da non sottovalutare. Il 2019 ha visto rivolte globali dal Sud America al Medio Oriente all’Europa. Persino nella pandemia ci sono stati centinaia, se non migliaia di scioperi che hanno attraversato il mondo contro la mancata sicurezza e i tagli salariali. “I disordini civili sono in aumento” (World Food Program). La classe lavoratrice non è scomparsa.
Nel movimento successivo all’omicidio di George Floyd negli USA c’è stata un’inedita unione tra lavoratori neri e bianchi, prima che l’intera cosa venisse rinchiusa nel vicolo cieco della politica identitaria. Questi movimenti vengono recuperati da progetti utopici di un'impossibile riforma del capitalismo, senza mai porre il tema centrale del suo superamento. Il neo-riformismo, con la sua propaganda interclassista sui diritti borghesi, la redistribuzione della ricchezza, gli ideali di giustizia sociale, il reddito universale di base, eccetera, è la nuova faccia del vecchio riformismo del’900 che ha sempre aiutato a contenere la lotta di classe. Nipote legittimo delle ideologie (Stalinismo, Trotzkismo, Maoismo) nate dalla controrivoluzione, e che l'hanno legittimata, il neo-riformismo fa proprie le vecchie istanze riformatrici del programma minimo della II internazionale per declinare in chiave moderna l’illusione di un capitalismo dal volto umano, di un altro mondo possibile, ma senza la rivoluzione, ossia senza rompere il rapporto capitale-lavoro.
La storia, anche recente, della lotta di classe ci insegna che sono possibili nuove forme di protesta e che l’evolvere di questa crisi di portata storica potrebbe far maturare movimenti sempre più ampi. Ma ci insegna anche che se questi movimenti non troveranno al loro interno un punto di riferimento rivoluzionario e internazionalista il movimento stesso finirà per sparire in una nuova sterile sconfitta per la nostra classe.
Invitiamo pertanto tutti gli elementi sinceramente rivoluzionari a stringere il contatto e il confronto con i nostri compagni. Noi, nel solco della sinistra comunista, offriamo una piattaforma emersa dal bilancio critico di due secoli di ispiratrici battaglie e di tragiche sconfitte della nostra classe.
Molti giovani lavoratori in tutto il mondo si stanno confrontando per affrontare le sfide cocenti che abbiamo di fronte. Il nostro obiettivo è quello di contribuire a una nuova Internazionale, una guida politica rivoluzionaria radicata nella classe lavoratrice di oggi, in preparazione delle lotte a venire.
Se sei d'accordo, mettiti in contatto. Il tempo è ora!
Partito Comunista Internazionalista – Battaglia comunistaSezione italiana della Tendenza Comunista Internazionalista
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